Italy is not back – President-Elect Opening Address

Quando, per qualche ragione (tipo una rubrica settimanale come questa), si deve scrivere nell’imminenza di un evento importante (tipo un’elezione politica generale come quella italiana), ci sono due strade, che sono altrettanti cerimoniali. C’è il cerimoniale dell’endorsement e quello degli stratagemmi immunizzanti. La prima strada comincia grosso modo così: “Questa volta votare per il candidato XY è una scelta logica che non richiede nemmeno il bisogno di turarsi il naso, ecc. ecc.”. La seconda strada comincia così: “Mentre scriviamo, le urne in cui gli elettori depositeranno il voto che determinerà il governo futuro del paese stanno per aprirsi in un clima di grande incertezza, ecc. ecc.”.
Poiché non abbiamo nulla da approvare e nulla dal quale immunizzarci, la nostra strada è la famigerata terza via. Non solo, essendo noi economisti e quindi inclini al ragionamento ipotetico-deduttivo, la strada che scegliamo è di anticipare il discorso che sarà pronunciato dal nuovo capo dello stato italiano. Cioè, “assumiamo” che il nuovo parlamento sia stato eletto e che a sua volta abbia eletto il successore di Napolitano (prima di sciogliersi dopo qualche mese). Assumiamo che questo nuovo capo dello stato sia esperto di economia e conosca l’inglese e la storia mondiale contemporanea. Il suo discorso davanti alle Camere riunite comincia così (non è la traduzione del Financial Times ma la trascrizione delle esatte parole pronunciate in inglese dal Presidente):

«Italy is not back, actually Italians are falling behind…».

(Questo esordio riecheggia capovolgendolo quello di un altro famoso discorso presidenziale di molti anni fa. Affermando che “l’America è tornata”, Ronald Reagan intendeva che il declino della società americana era finito. Era il gennaio 1984 e il presidente degli Stati Uniti si preparava al suo secondo mandato: quell’anno il reddito reale pro capite degli americani crebbe di oltre il 7 per cento dopo anni di alti e bassi).

Torniamo al discorso del nostro presidente (che intanto è passato all’italiano).

«L’Italia Non è tornata, dicevo parafrasando Reagan. Anzi gli Italiani hanno fatto un balzo all’indietro. Nel 2012 il loro reddito reale pro capite è tornato ai livelli del 1997. Quindici anni buttati via. Occorre cambiare e bisogna farlo in fretta, altrimenti il declino sarà irreparabile. Questo è il mandato che gli Italiani vi hanno affidato, onorevoli membri del Parlamento».

Da qui in avanti il discorso del nuovo Presidente italiano traccia un’accurata analisi dei problemi del paese. Quella che segue è la nostra sintesi ragionata.

«Ci sono due modi di guardare al reddito reale: dal lato della domanda aggregata e da quello dell’offerta aggregata. Sono importanti tutti e due, anche se il vangelo keynesiano tende a trascurare il secondo, e quello neo-classico il primo…Se ci limitiamo al primo punto di vista, tutto quello che serve fare è spingere la spesa aggregata sacrificando l’equilibrio di bilancio e il consolidamento fiscale alla riduzione della disoccupazione e alla stabilizzazione dell’output. L’aumento dei consumi farà crescere anche gli investimenti delle imprese…Il reddito aggregato aumenterà e con esso anche le entrate dello stato… L’Italia uscirà dalla crisi.
In questo approccio c’è un errore di fondo. La crisi dell’Italia non è una crisi da insufficienza di spesa aggregata. O meglio non è tanto e solo questo… Certo gli shock della Grande Recessione e della successiva crisi dell’euroarea hanno ridotto il prodotto effettivo e aumentato la disoccupazione. E poiché la fase negativa si è prolungata sono emersi gli effetti di quella che gli economisti chiamano isteresi e che incidono, riducendo il capitale umano e l’efficienza delle infrastrutture, anche su livello del prodotto potenziale e non solo su quello corrente::. Tuttavia, la riduzione della crescita del prodotto potenziale, della produttività e della competitività sono anteriori a questi shock e vi ha concorso in modo tangibile il debito pubblico crescente ed eccessivo…La conferma che il declino italiano ha a che fare con questi problemi, si ha confrontando il reddito reale pro capite dell’Italia con quelli degli altri cinque paesi più sviluppati (Usa, Giappone, Germania, Francia e Uk). Il reddito reale pro capite è il risultato dell’interazione di quattro fattori di offerta: la produttività oraria del lavoro, le ore lavorate per lavoratore, il tasso di occupazione e il tasso di partecipazione… Se prendiamo la media del periodo 2007-11, gli Usa hanno il reddito reale pro capite più alto (oltre 48 mila dollari in parità di potere d’acquisto). Il reddito degli Italiani è il più basso e corrisponde al 68 per cento di quello americano… Il primato degli americani deriva essenzialmente da due fattori: la produttività oraria e il tasso di partecipazione, i più alti del campione. Questi sono anche i punti deboli degli italiani: sia la produttività oraria… sia il tasso di partecipazione… sono i più bassi del campione e lontani sia dal leader sia dagli altri paesi (viceversa, i restanti indicatori sono nella media)… ».

Lo spazio della rubrica finisce qui. I dettagli e il resto del discorso del neo-presidente sono da qualche parte on-line. Per quanto riguarda le politiche da attuare per rimuovere questi divari si attende il governo (vero) che verrà.

Dal Diario dei due economisti pubblicato sul Foglio di ieri.