Political polarization in Italy: disruptive and self-destructive (either bottom-up or top-down)

Un parametro attraverso il quale si può provare a spiegare l’esperienza italiana degli ultimi venti anni è il livello della polarizzazione politica, intesa come una divergenza radicale tra maggioranza e opposizione. È aumentata rispetto al periodo precedente? E ammesso che ciò sia avvenuto, con quali effetti?
L’avvento del sistema cosiddetto bi-polare con la sua evoluzione a “vocazione maggioritaria” prometteva, sulla carta, un imbrigliamento dello spirito partigiano latente nell’ethos italico, attraverso la competizione e possibilmente l’alternanza al potere di due blocchi rivali potenzialmente in grado di conquistare l’elettore mediano e quindi un consenso e una forza adeguati per governare il paese secondo le piattaforme programmatiche. L’alternanza in effetti c’è stata, almeno sino ad un certo punto, e con essa la discontinuità rispetto al cosiddetto consociativismo del periodo precedente, ritenuto non senza ragioni il responsabile dell’inefficienza delle nostre istituzioni e dell’ immobilismo del paese. Viceversa, la realizzazione dei programmi si è vista poco o niente. Il fatto che la polarizzazione non sia stata domata e che anzi abbia assunto caratteri peculiari, può rappresentare una chiave per interpretare l’esito paradossale del sistema bipolare italiano. Dalla fine del 2011 il paese è retto da governi sostenuti in vario modo da entrambi i blocchi rivali, attraverso una soluzione bi-partisan coatta, imposta dall’emergenza prima e dall’indeterminatezza dei risultati elettorali dopo. Insomma, l’aspra polarizzazione ha finito per produrre tutti quei vari effetti negativi segnalati dalla letteratura politologica, che possono essere ricondotti ad uno che li riassume tutti: l’inazione politica. Con l’effetto predetto da alcuni modelli di political economics – che la polarizzazione politica, unita o meno all’instabilità politica, tende a favorire l’aumento del debito pubblico – l’esperienza di questo ventennio non è in contrasto sebbene il fenomeno sia esploso molto prima e in condizioni storiche (politiche e istituzionali) completamente differenti.
Intendiamoci, la polarizzazione politica è un fenomeno naturale in quanto riflette le preferenze e l’ideologia degli elettori. L’Italia ha una lunga tradizione di divergenza politica radicale guidata dall’ideologia, e lo stesso vituperato sistema consociativo ha rappresentato l’espediente per (tentare di) governare un paese profondamente diviso in modo democratico. Negli anni settanta del secolo scorso, Giovanni Sartori definì il caso dei sistemi pluripartitici europei come quello italiano un fenomeno di “pluralismo polarizzato”. Nella visione di Sartori si trattava di un processo “bottom-up”, nel senso che era la polarizzazione dell’elettorato ad aver determinato la frammentazione e la polarizzazione della rappresentanza politica. Ma il processo potrebbe essere al contrario di tipo “top-down”, nel senso che la polarizzazione del pubblico rifletterebbe quella delle élite – i partiti stessi e i loro apparati, alcune corporazioni influenti (tipo quella dei magistrati), i media.  Ovviamente tra i due processi non si possono escludere interazioni e feedback.
Se si riflette sulla storia recente del caso italiano si nota senza grandi sforzi interpretativi che in questo caso la polarizzazione rispecchia sempre meno divisioni ideologiche (e programmatiche) e sempre più pregiudizi antropologici o addirittura esistenziali, in una dinamica di faziosità ed animosità crescenti, il cui motore sembra essere proprio il criterio “amico-nemico” teorizzato da Carl Schmitt come l’essenza della politica. In altre parole, l’Italia in questi ultimi vent’anni si è sempre più divisa tra berlusconiani e anti-berlusconiani. E non è forse vero che questi ultimi vedono Berlusconi con il suo populismo carismatico non come un competitore e neanche come un avversario ma come il nemico “altro-da-sé”?  E non è forse vero che i berlusconiani a loro volta si sono impegnati nella lotta senza quartiere contro gli alieni chiamati “comunisti”, proclamando a parole principi liberali e propositi riformatori ma rinunciando nei fatti (o non essendo capaci) a metterli in pratica insieme alle politiche liberiste?
Ora la questione qui è capire fino a che punto questa polarizzazione politica riflette le preferenze della gente (e non piuttosto quelle delle élite).
In un commento sulla sentenza della Corte di Cassazione che ha confermato la condanna per frode fiscale di Silvio Berlusconi, Antonio Polito ha scritto: “Se si escludono le due troppo forti minoranze che si sono aspramente fronteggiate in questo ventennio (rendendo il Paese “diviso e impotente a riformarsi” come ha detto ieri Napolitano), la grande maggioranza degli italiani (…) guarda a queste vicende giudiziarie con un solo metro di giudizio: quanta instabilità porteranno…” (Corriere della Sera, 2 Agosto).
Disgraziatamente nelle condizioni attuali appare piuttosto problematico che questa potenziale maggioranza di italiani riesca a far prevalere le proprie preferenze, indirizzando il sistema bi-polare verso un assetto che in qualche modo imbrigli l’anomala polarizzazione autodistruttiva che impegna queste due minoranze “troppo forti”. Tuttavia, alternative non ce ne sono (o sarebbero catastrofiche).

versione estesa del Diario di Venerdì scorso

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