Rupture vs. Ancien Régime

Secondo il presidente francese Nicolas Sarkozy, la diplomazia che ha condotto alla liberazione delle infermiere bulgare sequestrate per anni dal dittatore libico Geddhafi (che le accusava di aver causato un’infezione Hiv) è «il nuovo pragmatismo negli affari esteri». Secondo il commentatore degli affari europei del Wall Street Journal, le prime mosse di politica estera del nuovo presidente francese – un accordo col despota nord-africano per la fornitura di una centrale nucleare e di armi – «appaiono molto Ancien Régime». In sintesi: l’Europa ha pagato un riscatto a chi sequestra ostaggi, la Francia, che di fatto ha in mano la politica estera europea, ha venduto armi avanzate e capacità nucleare ad un dittatore arabo. «In qualsiasi modo il signor Sarkozy voglia chiamare questo paradigma, esso non è nuovo» (Daniel Schwammenthal, WSJ, 6 Agosto, p. 11).

Non solo è come scrive il WSJ, ma le non-novità di Sarkozy non si fermano alla politica estera, che già non è poco. Riguardano anche la politica economica.  
La risposta di Nicolas Sarkozy al contrasto tra globalizzazione e stati nazionali è all’insegna della continuità. La “rupture” del nuovo presidente francese, che è così tanta parte del suo fascino, si misura in altri aspetti della sua politica economica (fisco, mercato del lavoro) e soprattutto nell’approccio generale ai problemi del governo e della società. Da questo punto di vista, Sarkozy rompe con la tradizione di chi lo ha preceduto, compresa la variante neo-golllista di Chirac, ma non certo con quella del generale De Gaulle. Lo si può notare nella puntigliosa difesa dei valori repubblicani che Sarkozy ha manifestato sin dai suoi primi gesti presidenziali (l’omaggio ai resistenti di Mont-Valerièn, l’impegno a rendere lettura scolastica obbligatoria la lettera di un condannato a morte della resistenza comunista).

Viceversa, la risposta di Sarkozy alla globalizzazione e alle implicazioni per la cosiddetta politica industriale è del tutto tradizionale in quanto rivendica il ruolo dirigista dello stato in nome della difesa dell’interesse nazionale, ossia il protezionismo. Al contrario, in questo campo la parola chiave dovrebbe essere concorrenza. Una parola che evidentemente non piace a Sarkozy, che si è battuto per la sua espunzione dal trattato europeo.

La concorrenza, a quanto pare occorre ripeterlo, non è un feticcio dogmatico ma il principio su cui modellare il “capitalismo regolato” che è alla base del liberalismo moderno. Inoltre, la concorrenza non è solo il principio delle “buone” politiche microeconomiche (strutturali), ma uno strumento che, nel contesto dell’Unione Europea, serve ad espanderne contemporaneamente la libertà e la forza.

Il resto – il colbertismo, l’anti-mercatismo e l’interventismo pubblico cari a Giulio Tremonti e alla sinistra massimalista italiana – sono un ritorno al passato. Ispirato non dall’intento di conservare rinnovandolo ciò che c’è di buono nella tradizione, ma dall’illusione di evitare il presente e dalla paura del futuro. Questi ferri vecchi dello statalismo si possono capire (rifiutandoli, s’intende) in un paese come la Francia, dove l’idea di nazione e la nozione di stato sono una cosa seria. Da noi fanno semplicemente ridere. Nel suo manifesto conservatore, Roger Scruton sostiene che è possibile recuperare un’idea utile di patria. Sono d’accordo, anche se non mi è molto chiaro come fare e a patto che non abbia nulla a che fare col nazionalismo. Che proprio in Francia ha raggiunto con il lepenismo gli estremi più insopportabili. Liquidati politicamente proprio da Sarkozy – figlio di immigrati e mezzo ebreo!

15 thoughts on “Rupture vs. Ancien Régime

  1. vorrei aggiungere due cose. primo, il reattore irakeno distrutto dagli israeliani nel 1981 era stato costruito dai francesi. perciò questa con geddhafi è la seconda volta della francia con un dittatore arabo in materia nucleare. secondo, sarkozy argomenta che la francia dà la potenza nucleare alla libia (un paese pieno di gas e petrolio) per seminare l’armonia e la pace globale, giacché impedire l’accesso degli arabi all’energia nucleare li umilia e perciò spinge verso lo scontro di civiltà.
    quindi l’errore dei vituperati neocon era questo: pensare di battere il terrore e l’ascesa dell’islam radicale attraverso la diffusione della democrazia (magari “esportandola” attraverso la guerra) e non dell’energia (potenza) nucleare.
    per inciso, la società francese che costruirà il reattore, areva, è partecipata al 30% dalla tedesca siemens, e quella che fornirà armamenti avanzati (missili antitank), mbda, è a proprietà paritetica di eads (francia-germania), british aerospace (inghilterra) e finmeccanica. questo si chiama pragmatismo. in opposizione all’dealismo dei neocon!
    Elf

  2. occhi e croce l’unica vera differenza di sarkozy rispetto ai suoi recenti antagonisti è quella di avere il coraggio di sparare, qualora occorra, su orde di immigrati figli delle colonie, dediti a spaccio, violenza ed altre non carine abitudini.
    ciò fa capire che di questi tempi un po’ di decisione contro la delinquenza viene visto come un fatto rivoluzionario.

    la francia ha voluto la multietnia indiscriminata come fenomeno di evoluzione della società, forse giusitificata dai rapporti con le colonie (sottomesse ed islamizzate) noi da bravi chiacchieroni abbiamo solo raschiato il fondo del peggio disponibile, per pietismo e strategie Komu di allargamento del numero di morti di fame, meglio controllabili e d indottrinabili.

    è evidente quindi che il comportamento del presidente franzese è funzionale alle aspettative di crescita transalpine ed alle alleanze reali in corso in Europa (Francia-Germania) il nostro a quello di certo pensiero.

    il dato francese rimarrà immutabile fino a stravolgimenti socio-culturali e, ahi noi, probabilmente subiremo l’evento senza concorrere a viverlo.

    ritorniamo su discorsi passati, come il dover rinnovare le politiche economiche, l’incisività di fattori come guerre e conflitti in generale, mancanza di tradizione ecc il risultato è che la Francia si arrichisce ed arma la Libia, la Libia ci spara, noi chiediamo scusa per un qualche motivo e poi applichiamo il modello francese di devastazione della società.

    cordialmente
    freccia

  3. due chiarimenti.
    1) cosa sono le strategie Komu?
    2) quale è il modello di devastazione sociale alla francese?
    mi è difficile comprendere quale sia il modello buono che ha in mente freccia; mi verrebbe da pensare che sia qualchecosa che ha che fare con “destra sociale”, oppure no…
    elf

  4. le strategie Komu sono le strategie proletario-leniniste.

    il modello di freccia, come al prof ho detto alcune volte, è quello del liberismo puro.
    giusto con un minimo di organi di controllo.
    la devastazione francese è quella data dal voler campare, con le risorse di chi produce, disagiati sociali su cui si sono abbattute nel passato (anche di riflesso)le politiche di un paese (o di un partito). risultato solo assistenzialismo et similia

    saluti

    freccia

  5. ho capito (“Komu” sta per comunista).
    allora, niente destra sociale.
    bene.
    come diceva ronny reagan, l’unico modo per aiutare un povero è farlo diventare ricco.
    elf

  6. Il giornalista romano ha rinunciato in extremis alla candidatura

    Antonello De Pierro non correrà più per la guida del Partito Democratico
    Il direttore di Italymedia.it e storico conduttore di Radio Roma, oltre che leader del movimento “L’Italia dei diritti”, aveva deciso di candidarsi, ma come si apprende dal coordinatore nazionale del movimento stesso Dario Domenici, è stato costretto a ritirarsi per motivi personali

    Aveva accettato di candidarsi per le Primarie del 14 ottobre 2007, per concorrere alla carica di segretario nazionale del Partito Democratico, dopo che da più parti gli erano giunte richieste in tal senso, e, sostenuto da più associazioni e gruppi, oltre naturalmente che dal movimento per i diritti dei cittadini “L’Italia dei diritti”, di cui è presidente, aveva avviato in tutta la penisola la raccolta delle firme necessarie da consegnare entro il termine fissato, per accedere all’elenco degli aspiranti. In extremis però il popolare giornalista Antonello De Pierro, direttore di Italymedia.it http://www.italymedia.it e voce storica dell’emittente radiofonica Radio Roma, giannizzero di tante battaglie in campo sociale, sempre per tutelare i diritti dei più deboli, schierato contro l’arroganza dei potenti e la corruzione dilagante di settori deviati delle istituzioni, per motivi personali ha rinunciato a candidarsi. E’ quanto è stato reso noto dal coordinatore nazionale del movimento “L’Italia dei diritti” Dario Domenici, che non ha specificato il motivo della defezione, che come già accennato risalirebbe a motivi prettamente personali. Sembra che la decisione di De Pierro di concorrere alla carica per cui sono candidati Walter Veltroni, Furio Colombo, Enrico Letta, Rosy Bindi, Mario Adinolfi ed altri, sia scaturita dalla necessità soggettiva di apportare una ventata di forte coinvolgimento sociale in una classe politica ormai impopolare, e sempre fedele al suo motto, ripescato nell’archivio geniale di Cesare Pavese “Non bisogna andare incontro al popolo, ma essere popolo”. Ed è proprio ciò che il giornalista romano ha da sempre fatto, dalle pagine dei giornali diretti, dalle frequenze radiofoniche, ma soprattutto grazie all’indole solidale che lo caratterizza, facendosi carico di problemi che nella maggior parte dei casi, con l’impegno, la caparbietà e la forza mediatica ha brillantemente risolto, rivendicando la sua indipendenza e non preoccupandosi giammai di potersi mettere contro i cosiddetti potenti. Spesso ha pagato anche sulla propria pelle le omissioni e le falsificazioni clamorose a livello istituzionale, e successivamente le ritorsioni, solo, in virtù del suo innato senso di giustizia, per aver tentato di far rispettare dei sacrosanti diritti, che nelle circostanze erano stati spudoratamente calpestati. Italymedia.it è da sempre un portale di informazione libera che denuncia tutto il marcio che riesce a smascherare, in maniera politicamente trasversale, la giustizia e i diritti non hanno colore, anche perché è pura retorica, peraltro piuttosto patetica la convinzione che le ingiustizie e i soprusi siano peculiarità di questa o di quella classe politica. Dove esiste l’uomo c’è il pericolo di degenerazione morale, ed è dovere sacrosanto di chi si muove nella legalità denunciarlo, anche se ciò non sempre avviene, ed è un dato di fatto che spesso il delinquente è più forte dell’onesto, e muoversi nell’illecito è più agevole che addentrarsi nei vincoli che la codificazione legale impone.

    Tra l’altro il giornalista e conduttore era considerato l’unico che avesse qualche improbabile e comunque inutile chance in più, di fronte a Superwalter, che dopo il grande consenso conquistato meritatamente alla guida dell’amministrazione capitolina, ha già in tasca la leadership del nascente Partito Democratico. I candidati Rosy Bindi ed Enrico Letta, facenti parte di un governo che ha fortemente deluso anche il suo stesso elettorato, non hanno alcuna speranza a cui aggrapparsi per ottenere l’ambita posizione di vertice. Il leader de “L’Italia dei diritti” comunque sosterrà Walter Veltroni, persona che ha dichiarato in più occasioni di stimare umanamente e politicamente da sempre e in cui ripone grande fiducia, ed ha annunciato che presto, “viste le pressioni della gente e dei fedeli lettori, ascoltatori e sostenitori, non potrà esimersi dall’affacciarsi sulla scena politica romana e nazionale, per ottenere uno strumento in più al fine di tutelare gli interessi di chi spesso non ha voce, in quanto soffocata dal potere e dall’arroganza di pochi eletti”, priorità diventata ormai una missione ed una ragione di vita.

  7. Vabbè, prosit per de pierro, ma che ciazzecca direbbe il robespierre di montenero di bisaccia, torniamo a sarkozy.
    L’aricolo del prof. va bene, in specie nella chiusa, dove si adombra il solito caso italiano, di natura antropologica.
    In Francia, infatti, si può anche fare la negazione della concorrenza in certi settori, in quanto colà amano ed hanno “i campioni nazionali”. Cioè tutto va bene, salvo non toccateci i nostri interessi “nazionali”. Ed infatti nessun operatore straniero, di norma, riesce a mettere mano su industrie o corporate francesi.
    Qui da noi, si fa tutto ed il contrario di tutto, secondo l’interesse non pubblico, ma privato – di camarilla -.
    Chi scrive, la capra, è per un incremento reale della concorrenza che servirebbe a tagliare annose rendite di posizione, escluso la proprietà e l’esercizio delle grandi reti – di interesse nazionale appunto – che in società mature, se attaccate, possono diventare il punto nevralgico di rottura di tutto.
    Invece che avviene qui? si privatizza per fare cassa dove piace di più, si lasciano corpose golden shares, si mettono a capo di aziende parapubbliche personaggi che piacciono – nei fatti – ai vetero comunisti e fascisti (tutto, ma proprio tutto allo stato), non ad esempio la rete del trasporto gas di proprietà dello stato, che poi fa gara per assegnare l’esercizio (a pagamento). Si potrebbe fare anche con le ferrovie.
    Campa cavallo, che il disastro ( a principiare dal momento culturale) è vicino.
    kaproluk

  8. detesto l’antropologia. è la base concettuale del relativismo più idiota e inconcludente. c’è sempre un contesto, uno specifico, una comunità, una nazione con la loro cultura-tradizioni-indole, insomma con la loro storia che pretendono unicità, singolarità, irriducibilità, non confrontabilità. l’antropologia fornisce la giustificazione di questa pretesa. una prtesa che non porta da nessuna parte, non spiega niente se non l’ovvio – sono fatto così, siamo fatti così, che ci possiamo fare – e motiva la rinuncia a qualunque principio universale anche il più moderato.
    Elf

  9. se non piace la parola antropologia (il senso in cui la uso è spiegato esattamente dal concetto professorale di: contesto, nazione indole..), allora parliamo di etologia italiana.
    Come alla bestia animale non insegni nulla se non su sollecitazione (dolorosa) coatta, così alla bestia italica (tale per indole, cultura, nazione come si è venuta a solidificare dalle invasioni barbariche ad adesso) non si addice nessun cambiamento positivo o innovativo o progressivo, SE NON QUANDO SI ARRIVA AL FONDO DEL BARILE DI QUALCHE TRAGEDIA – solo allora storici, politici, gazzettieri parlano di :
    creatività, genio, voglia di innovazione, design, industria, partecipazioni statali , moda italica, “esperienza originale unica italiana” e altre simili.
    Questo vale per la nazione , il contesto, la cultura, l’indole e per gli individui singoli italici, è un fatto incontrovertibile.
    Se non piace, vedere anche solo la storia di italia dal 1861 ad oggi.
    kaproluk

  10. Vedere la storia paesana dal 1861 in poi? E allora? Forse che nel 1861 è nato improvvisamente il “tipo italiano”, quell’aggregatore di nefandezze di cui dice kaproluk? Oppure, più plausibilmente, esso si è modellato nel corso dei secoli per diventare quello che è?
    Menate. Nei secoli, nella storia, si può trovare di tutto, nel male ma anche nel bene e questo riguarda anche il paese chiamato Italia che, nonostante tutto quello che dice kaproluk, è divenuta la quinta economia mondiale. Come sarebbe stato possibile se fosse vera la spiegazione antropologica (popolo di gaglioffi che solo l’ emergenza risveglia)?
    Elf

  11. la fame della seconda guerra mondiale è la risposta al prof… quella fu la causa originale del successo dei ’60.
    poi sono iniziate le nefandezze del sindacalismo italiano dei ’70.
    le ellissi del prestito al consumo e le parentesi terroriste senza fini o scopi.
    25-30 anni ed il ciclo si è esaurito o comunque sta esurendosi.

    servirebbe una nuova causa scatenante una trasformazione culturale, ideologica, economica.
    gli italiani la capiscono solo con le cattive, la storia lo insegna.

    si può cambiare, sì!
    nulla è preordinato.Non possiamo, non dobbiamo, non vogliamo calarci le braghe! ma in generale il bravo Kaproluk dice il vero:
    per l’Italia son più le ombre e son ripetitive…
    allo stato attuale son più le ombre.

    una sintesi delle nostre parole la troverete nel dialogo pre-ghigliottina del prete pugliese nel “marchese del grillo”, mai in modo migliore è rappresentato lo standard italiano degi ultimi 200 anni.

    cordialmente
    freccia

  12. potremmo anche offrire al buon freccia una forma di cacio lucano ed una pinta di aglianico, per ringraziarlo della sua pronta adesione all’esegesi della c.d. “antropologia italica”… (alias cialtronaggine)
    kaproluk

  13. che pizza. qui ci si diverte a parlottare con i graditi commentantori – anche quando cialtroni e perdipiù antropologici. però, l’ostinazione a non volere fare nessun passo in avanti, logico o almeno dia-logico, è per il prof. sconfortante. invito a rileggere le ultime righe del commento, dove dicevo che certe nozioni (stato, nazione) che sono “forti” altrove (francia) da noi in italia fanno ridere. ossia, non è che qui si ignori il contesto. ma il contesto non ha una sola dimensione, come avrebbe detto marcuse, e a forza di dare troppa importanza al contesto (con tutte le appendici storiche e storiciste) lo sbocco è il relativismo nella sua versione più insopportabile. e tutto questo piangersi addosso, tutto questo anti-italianismo di luoghi comuni e cliché, mi fa diventare, io che non lo sono, arci-italiano. tanto per dire, l’italia di oggi è migliore di quella di 15 anni fa: la disocuppazione è quasi a livelli “naturali”, l’inflazione è sotto controllo, l’industria ha subito una salutare ristrutturazione, la finanza pubblica non richiede più gestioni straordinarie (e il debito comincia a scendere anche se ancora troppo piano). ovviamente i problemi restano. ma questa non è una specialità italiana. e quanto al sindacalismo italiano (le cui co-responsabilità passate e presenti sono più che chiare e qui denunciate sotto il nome di corporativismo), bisogna ricordarsi che qualcuno li firmò pure gli accordi del 91-93 che, dopo il referendum craxiano, posero fine all’era dell’inflazione e della svalutazione (processo portato a termine definitivamente con l’euro). anzi mi sembra che il segretario cgil dell’epoca fosse un certo bruno trentin.

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