Dal Diario di due economisti sul FOGLIO di oggi.
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Non c’è nulla di più autoreferenziale del dibattito innescato dall’intervista dalemiana riguardo la crisi della politica e il fantasma del ’92, sulla scia della pubblicazione del libro di Sergio Rizzo e Giandomenico Stella, “La casta”, e dell’editoriale di Mario Monti sul Corriere della Sera (22 maggio), che in realtà trattava di altro e con un altro scopo. E’ la partecipazione a questa discussione che dimostra il distacco dai cittadini non della politica ma dei politici che ne discutono. Ma cosa è successo di nuovo? Le denuncie di Stella sui privilegi dei politici e dei loro amici riguardano fatti noti già pubblicati sullo stesso Corriere. Quanto alla ribellione dei cittadini ci sono gli incendi dei cassonetti di Napoli e dintorni, che dimostrano non la crisi della politica ma l’incapacità di un’ amministrazione che dovrebbe andare a casa. D’altra parte è stata eletta, anche se proprio in Campania sono sorti sospetti di fatti poco chiari nelle ultime elezioni politiche. Ma una parte della classe politica, soprattutto quella che oggi governa, ha deciso autonomamente, e con la solita cassa di risonanza dei quotidiani di riferimento, di aprire una discussione sulla sua crisi. E non si sa bene perché proprio oggi. Perché invece non dimettersi o far dimettere dal governo quelli che Mario Monti ha giustamente definito i “tecnici della sopravvivenza politica”? I cittadini non c’entrano proprio e non vengono presi in considerazione. E non bastano i sondaggi a rendere il dibattito credibile. I cittadini possono essere coinvolti, se si vuole, ma con le elezioni. E non è vero che non servirebbero a nulla, le elezioni, perché oggi fatti nuovi su cui votare ci sono. Innanzitutto su tutte le balle sul declino dell’Italia raccontate non solo dagli attuali politici al governo ma anche dai leader della Confindustria. E ancora sulle balle e/o sugli errori di analisi riguardo ai conti pubblici degli stessi politici non appena insediati al governo, nel giugno 2006. Non ci aveva detto l’attuale ministro dell’economia che la situazione era peggiore di quella dei terribili primi anni novanta a rischio di crisi finanziaria? E a proposito del tesoretto di cui tanto si discute, chi crede che lo abbia causato il ministro Visco arrivato al governo nel secondo semestre dell’anno di riferimento?
Dietro la fine della prima repubblica, e la crisi della politica che si manifestò allora, ci furono due fatti sostanziali. La crisi finanziaria dello stato che determinò la rottura del patto, mediato dalla politica, tra l’oligarchia finanziaria ed industriale, che chiedeva risorse e politiche su misura, e la piccola impresa e i ceti medi produttivi (come si usava dire allora) cui era accordata una sostanziale impunità nella evasione fiscale. Costoro vennero a trovarsi senza una chiara rappresentanza politica a difesa dei rispettivi interessi. Il che si tradusse in un fatto politico dirompente: la Lega Nord stava diventando maggioranza laddove si produceva la quota maggiore del reddito del paese. Oggi questi segni di rottura degli equilibri politici mancano. Quello che si chiede, ed in fondo è quello che chiede Monti, è che i politici facciano delle scelte. E che queste scelte vengano poste al vaglio degli elettori. Oggi questo non avviene. Di fatto un governo non c’è. E non c’è nessuno al governo che sia in grado di effettuare delle scelte chiare e, se non ha la forza di portarle avanti, sia disposto a chiedere ai cittadini i voti per farlo.
Il dibattito sul tesoretto descrive uno scontro fasullo tra il (presunto) partito dei rigoristi e quello (ugualmente presunto) dei sensibili al sociale. La questione è un’altra: è preferibile sostenere i redditi direttamente attraverso una riduzione immediata delle tasse e attraverso un aumento dell’età pensionabile (che renderebbe possibili pensioni dignitose), oppure è meglio aumentare la spesa pubblica con il provento dell’aumento delle tasse, con la scusa di sostenere la protezione sociale? Si tratta di due strategie opposte, che hanno effetti diversi sulla crescita e sul ruolo dello stato, e che implicano un diverso ammontare di risorse che sarebbero mediate dalla politica. Altro che ridurre gli stipendi dei politici. Nel frattempo, la decurtazione del cuneo fiscale decisa a favore delle imprese industriali e non dei lavoratori, dovrà essere estesa per decisione europea a tutti i settori, cioè anche alle imprese finanziarie, alle banche e ad altri settori dei servizi, i cui margini di profitto sono già tra i più alti in Europa. Ma questo si sapeva già e su queste colonne ne abbiamo parlato più volte. Anche se il governo ha fatto finta di non saperlo. Con il plauso di Confindustria.»